Bisogna innanzitutto
distinguere se l'amministratore di sostegno è una persona di
famiglia o convivente oppure non è collegato da rapporti di
parentela con l'amministrato.
L'art. 411 del Codice Civile
prevede espressamente che sono valide le disposizioni
testamentarie e le convenzioni a favore dell'amministratore di
sostegno purchè sia parente entro il quarto grado del beneficiario,
ovvero sia coniuge o convivente.
Cosa
succede però nel caso in cui l'amministratore di sostegno è una
persona estranea al rapporto di famiglia?
L'art. 411 del Codice Civile,
al secondo comma, prevede che per quanto compatibile si
applicano anche all'amministrazione di sostegno, le disposizioni
relative al tutore di cui all'art. 569, 599 e 779 Codice Civile.
In particolare l'art. 596
Cod. Civile prevede che sono nulle le disposizioni testamentarie a
favore del tutore o protutore, se fatte dopo la loro
nomina. Rimanendo anche in questo caso comunque valide le
disposizioni testamentarie redatte a favore del tutore che è anche
ascendente, discendente, fratello, sorella o coniuge del testatore.
Ma queste norme, relative
al tutore, sono applicabili automaticamente anche all'amministratore
di sostegno? La norma prevede espressamente che sono applicabili in
quanto compatibili.
In una recente sentenza la
Corte di Cassazione (n. 6079 pubblicata il 4 marzo 2020), intervendo
sull'argomento, ha escluso ogni forma di automatismo per
quanto riguarda l'istituto dell'amministrazione di sostegno.
In particolare la Corte di
Cassazione ha ribadido come l'istituto dell'amministrazione di
sostegno non deve essere considerato come un quid minus rispetti ai
preesistenti istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, ma che
"L'amministrazione di sostegno ha la finalità di offrire a
chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di
provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne
sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire,
distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a
tutela degli incapaci, quali l'interdizione e l'inabilitazione, non
soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la nove
Azione degli artt.414 e 427 del codice civile.
Rispetto
ai predetti istituti, l'ambito di applicazione
dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non
già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di
impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente
di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale
strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione
alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa
procedura applicativa.
Appartiene
all'apprezzamento del giudice di merito la valutazione della
conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto
essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per
conto del beneficiario e considerate anche la gravità e la durata
della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonché
tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie"(Cass.
Sez. 1, Sentenza n. 22332 del 26/10/2011, Rv. 619848; conf. Cass.
Sez. 1, Sentenza n. 18171 del 26/07/2013).
Inoltre
è importante anche distingue l' ipotesi dell'amministrazione
di sostegno cd. sostitutiva o
mista dall'amministrazione puramente di assistenza.
Nel
primo caso l'amministrazione di sostegno presenta caratteristiche
affini alla tutela, poiché l'amministrato, pur non essendo
tecnicamente incapace di compiere atti giuridici, non è comunque in
grado di determinarsi autonomamente in difetto di un intervento,
appunto sostitutivo ovvero di ausilio attivo,
dell'amministratore.
Nel
caso di amministrazione puramente di assistenza, invece,
l'istituto dell'amministrazione di sostegno si avvicina alla
curatela, in relazione alla quale l'ordinamento non prevede i divieti
di ricevere per testamento e donazione che, al contrario, sono
previsti per tutore e protutore dagli artt.596, 599 e 779 c.c.
Dal
che discende che, in assenza di divieto previsto dalla legge, nel
caso dell'amministrazione di mera assistenza il beneficiato è
pienamente capace di disporre del suo patrimonio, anche per
testamento e con disposizione in favore dell'amministratore di
sostegno, a prescindere dalla circostanza che tra i due soggetti
(amministratore e beneficiato) sussistano vincoli di parentela di
qualsiasi genere, o di coniugio, ovvero una stabile condizione di
convivenza -la quale ultima è stata evidentemente ritenuta dal
legislatore, ai fini che qui interessano ed in funzione del suo
connotato di stabilità e del vincolo affettivo che essa implica,
assimilabile al rapporto coniugale.
In
tale contesto, non rileva il fatto che il terzo comma dell'art.411
c.c. prescriva soltanto che "Sono in ogni caso valide le
disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore
dell'amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado
del beneficiario, ovvero che ne sia coniuge o persona che sia stata
chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente"
senza nulla dire circa le disposizioni e le convenzioni eseguite in
favore di parenti oltre il quarto grado. Dalla mancata inclusione
di dette disposizioni nella norma in esame, invero, non si può farne
discendere la loro automatica invalidità o inefficacia, né
l'esistenza di un divieto che, in funzione del contesto generale in
cui l'art.411 c.c. è inserito, non è previsto dalla legge.
Concludendo si può
affermare che all'amministratore di sostegno, in linea generale, non
è preclusa la capacità di succedere per testamento al proprio
assistito, potendosi
configurare un simile limite soltanto con riguardo ai casi di
amministrazione mista o sostitutiva, in coerenza con la normativa
prevista in tema di tutela.
Ovviamente
il testatore dovrà essere capacie di intendere e volere al momento
della redazione del testamento.
Sentenza Cassazione Civile
n. 6079 (pubblicata il 4 marzo 2020)
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione
notificato 1'8.11.2005 A. G. (omissis) evocavano in giudizio innanzi
il Tribunale di Palermo D. M. + 1 (omissis) chiedendo che fosse
dichiarata aperta la successione legittima di A. G. (omissis), previa
la dichiarazione di nullità o l'annullamento del testamento olografo
redatto dal de cuius in data 27.2.2003, con il quale il testatore,
inabilitato, aveva istituito erede il proprio curatore D. M.
(omissis) attribuendogli l'intera quota disponibile dell'asse,
devoluto alla propria convivente C.B. (omissis) una rendita vitalizia
annuale pari alla metà dei frutti della predetta quota disponibile,
e riservato ai figli la sola quota di legittima, al netto delle
elargizioni già ricevute da questi ultimi in vita del testatore,
nonché di quanto dai medesimi direttamente trattenuto senza titolo
sull'eredità della madre del testatore.
A sostegno della domanda, gli
attori deducevano che il loro padre aveva redatto la scheda
testamentaria in condizioni di incapacità naturale o comunque in
quanto determinato da errore, violenza o dolo; sostenevano inoltre
che il curatore del soggetto inabilitato doveva essere ritenuto
incapace di succedere al proprio assistito.
Si costituivano i convenuti
resistendo alla domanda.
Con sentenza n.2737/2011 il
Tribunale rigettava la domanda ritenendo non raggiunta la prova,
tanto dell'incapacità naturale che del vizio della volontà.
Considerava inoltre non pertinente il richiamo all'art.596 c.c. e
quindi insussistente la dedotta incapacità del D. omissis a
succedere al defunto. Avverso detta decisione interponevano appello
A. e G . omissi Si costituivano in seconde cure, con separate
comparse, D. M. e C. B. , resistendo al gravame e concludendo per la
conferma della decisione di prime cure. Restava invece contumace A.
S. omissis
Con la sentenza oggi
impugnata, n.288/2017, la Corte di Appello di Palermo rigettava il
gravame condannando gli appellanti alle spese del grado. Riteneva la
Corte territoriale che non fosse stata raggiunta la prova del vizio
della volontà del testatore, e che la sua dedotta incapacità
naturale fosse invece esclusa in radice dalla sentenza del 21.3.2012
con la quale il Tribunale di Palermo aveva revocato la precedente
interdizione del defunto, dichiarandolo soltanto inabilitato, sul
presupposto della sua capacità di autogestirsi, accertata
all'atto della predetta pronuncia. Inoltre, la Corte palermitana
valorizzava gli esiti della C.T.U. disposta in seconde cure, che
aveva confermato la capacità del testatore all'atto della redazione
della scheda testamentaria oggetto di causa. Infine, riteneva
manifestamente infondata l'eccezione di costituzionalità della norma
di cui all'art.596 c.c., che prevede l'incapacità del tutore e
protutore di succedere per testamento al proprio assistito, sotto il
profilo della irragionevole disparità di trattamento rispetto alla
figura del curatore dell'inabilitato, per il quale la legge non
contempla analogo divieto: eccezione che era stata formulata dagli
appellanti, in relazione all'art.3 Cost., anche alla luce del fatto
che l'art.596 c.c. è espressamente richiamato dall'art.411 c.c. per
l'amministratore di sostegno, il quale si occuperebbe di gestire
situazioni di gravità inferiore a quelle oggetto dell'istituto
dell'inabilitazione.
Ricorre per la cassazione di
detta decisione S. omissis, in qualità di procuratrice generale di
A. G. omissis, affidandosi a quattro motivi, con il primo dei quali
ripropone l'eccezione di incostituzionalità dell'art.596 c.c. nella
parte in cui detta norma non prevede l'incapacità a succedere al
proprio assistito anche in capo al curatore del soggetto inabilitato.
Resiste con controricorso D. M . C. + 3 omissis, intimati, non
hanno svolto attività difensiva in questo giudizio di legittimità.
La parte controricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la
ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte
di Appello non ha ritenuto manifestamente fondata la questione
-riproposta anche in questa sede- di legittimità costituzionale
degli artt.596, 597 e 598 c.c. in relazione all'art.3 della
Costituzione, nella parte in cui dette norme non prevedono
l'incapacità a succedere per testamento del curatore
dell'inabilitato che, nel periodo della curatela e al tempo della
redazione del testamento, abbia assolto la funzione di amministrare e
gestire il patrimonio dell'amministrato che non sia parente, anche
con riferimento all'art.411 c.c., il quale prevede invece -ad avviso
della ricorrente- l'incapacità a succedere per testamento
dell'amministratore di sostegno, oltre il quarto grado di parentela,
che abbia amministrato il patrimonio del beneficiato. La censura, e
con essa la questione di legittimità costituzionale degli artt.596,
597 e 598 c.c., è manifestamente infondata. La tesi
prospettata da parte ricorrente, invero, si fonda sulla ritenuta
paragonabilità tra gli istituti della tutela dell'interdetto, della
curatela dell'inabilitato e dell'amministrazione di sostegno, nonché
sul presupposto logico che alle predette forme di assistenza
corrispondano gradi crescenti di inattitudine a curare i propri
affari, o di infermità, del soggetto beneficiato. L'assunto non è
coerente con il quadro normativo e con i precedenti di questa Corte,
la quale ha espressamente escluso la possibilità di configurare
l'istituto dell'amministrazione di sostegno come un quid minus
rispetti ai preesistenti istituti dell'interdizione e
dell'inabilitazione. In particolare, si è affermato il principio,
che questo collegio condivide ed al quale intende dare continuità,
secondo cui "L'amministrazione di sostegno -introdotta
nell'ordinamento dall'art.3 della legge 9 gennaio 2004, n.6- ha la
finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche
parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno
strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura
possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica
funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali
l'interdizione e l'inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati
dalla stessa legge attraverso la nove Azione degli artt.414 e 427 del
codice civile. Rispetto ai predetti istituti, l'ambito di
applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con
riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o
di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto
carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale
strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione
alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa
procedura applicativa.
Appartiene
all'apprezzamento del giudice di merito la valutazione della
conformità di tale misura alle suindicate esigenze, tenuto conto
essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per
conto del beneficiario e considerate anche la gravità e la durata
della malattia, ovvero la natura e la durata dell'impedimento, nonché
tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie"(Cass.
Sez. 1, Sentenza n. 22332 del 26/10/2011, Rv. 619848; conf. Cass.
Sez. 1, Sentenza n. 18171 del 26/07/2013, Rv. 627498). Da quanto
precede deriva l'infondatezza manifesta dello stesso presupposto
logico della questione di costituzionalità posta con il motivo in
esame. Va inoltre osservato che l'art.411 secondo comma c.c. rinvia
agli artt.596, 599 e 779 c.c. "in quanto compatibili".
Trattandosi di rinvio a carattere residuale, esso vale per la sola
parte delle disposizioni contenute nei predetti articoli che risulta
compatibile con le finalità e le caratteristiche dell'istituto
dell'amministrazione di sostegno. Il che esclude che si possa
ritenere -come invece vorrebbe la ricorrente- l'automatica estensione
anche all'amministratore di sostegno di tutte le prescrizioni
contenute nelle norme oggetto del rinvio, inclusa quella relativa
all'incapacità di succedere all'assistito.
A tal riguardo vanno infatti
nettamente distinte le diverse ipotesi dell'amministrazione di
sostegno cd. sostitutiva o mista e dell'amministrazione puramente di
assistenza. Nel primo caso l'amministrazione di sostegno presenta
caratteristiche affini alla tutela, poiché l'amministrato, pur non
essendo tecnicamente incapace di compiere atti giuridici, non è
comunque in grado di determinarsi autonomamente in difetto di un
intervento, appunto sostitutivo ovvero di ausilio attivo,
dell'amministratore. Nel secondo caso, invece, l'istituto
dell'amministrazione di sostegno si avvicina alla curatela, in
relazione alla quale l'ordinamento non prevede i divieti di ricevere
per testamento e donazione che, al contrario, sono previsti per
tutore e protutore dagli artt.596, 599 e 779 c.c. Dal che discende
che, in assenza di divieto previsto dalla legge, nel caso
dell'amministrazione di mera assistenza il beneficiato è pienamente
capace di disporre del suo patrimonio, anche per testamento e con
disposizione in favore dell'amministratore di sostegno, a prescindere
dalla circostanza che tra i due soggetti (amministratore e
beneficiato) sussistano vincoli di parentela di qualsiasi genere, o
di coniugio, ovvero una stabile condizione di convivenza -la quale
ultima è stata evidentemente ritenuta dal legislatore, ai fini che
qui interessano ed in funzione del suo connotato di stabilità e del
vincolo affettivo che essa implica, assimilabile al rapporto
coniugale. In tale contesto, non rileva il fatto che il terzo
comma dell'art.411 c.c. prescriva soltanto che "Sono in ogni
caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore
dell'amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado
del beneficiario, ovvero che ne sia coniuge o persona che sia stata
chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente"
senza nulla dire circa le disposizioni e le convenzioni eseguite
in favore di parenti oltre il quarto grado. Dalla mancata inclusione
di dette disposizioni nella norma in esame, invero, non si può farne
discendere la loro automatica invalidità o inefficacia, né
l'esistenza di un divieto che, in funzione del contesto generale in
cui l'art.411 c.c. è inserito, non è previsto dalla legge.
Del pari infondato è
l'ulteriore argomento proposto da parte ricorrente, secondo cui
l'art.411 c.c. prevedrebbe l'incapacità a succedere per testamento
dell'amministratore di sostegno, oltre il quarto grado di parentela,
che abbia in concreto amministrato il patrimonio del beneficiato; la
norma, infatti, non prevede affatto tale limitazione. In definitiva,
è vero esattamente il contrario di quanto ritenuto da parte
ricorrente, ovvero che all'amministratore di sostegno, in linea
generale, non è preclusa la capacità di succedere per testamento al
proprio assistito, potendosi configurare un simile limite soltanto
con riguardo ai casi di amministrazione mista o sostitutiva, in
coerenza con la normativa prevista in tema di tutela. Non potendosi
quindi, conclusivamente, ravvisare un rapporto di inferiorità
dell'amministrazione di sostegno rispetto all'inabilitazione o
all'interdizione, posto che i detti istituti, pur tesi tutti ad
assicurare la protezione del soggetto debole, rispondono ad esigenze
diverse che non sempre sono suscettibili di essere collocate su una
scala unitaria di crescente gravità del disagio dell'assistito,
né potendosi condividere la tesi di parte ricorrente, secondo cui il
rinvio residuale operato dall'art.411 secondo comma c.c. estenderebbe
in via automatica all'amministratore di sostegno il divieto di
succedere espressamente previsto dall'art.596 primo comma c.c. solo
per il tutore e protutore, e non invece per il curatore
dell'inabilitato, la questione di legittimità costituzionale degli
artt.596, 597 e 598 c.c. va dichiarata manifestamente infondata.
Con il secondo motivo la
ricorrente lamenta la violazione degli artt.112 e 196 c.p.c., nonché
l'omesso esame della richiesta di rinnovazione della C.T.U., con
riferimento all'art.360 nn.3 e 5 c.p.c., perché la Corte
territoriale avrebbe erroneamente deciso la causa sulla scorta della
consulenza tecnica agli atti del giudizio, senza nulla provvedere in
merito all'istanza di rinnovazione della stessa che era stata
proposta dall'odierna ricorrente in seconda istanza. Con il terzo
motivo, inoltre, quest'ultima lamenta l'ulteriore profilo di
violazione dell'art.112 c.p.c. e l'omessa motivazione, con
riferimento all'art.360 n.5 c.p.c., perché la Corte di Appello non
avrebbe, prima di decidere nel merito l'impugnazione, valutato le
richieste istruttorie proposte dalla ricorrente e provveduto sulle
stesse. Le due censure, che per la loro connessione meritano un esame
congiunto, sono inammissibili, in quanto esse si risolvono nella
richiesta di riesame del merito e di rivalutazione del compendio
istruttorio e -in particolare- del giudizio di rilevanza e
concludenza dei singoli mezzi istruttori reso, anche in via
implicita, dal giudice di merito. Giova sul punto ribadire il
principio secondo cui "L'esame dei documenti esibiti e delle
deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e
delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio
sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece
che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di
Ric. 2017 n. 11570 sez. 52 - ud. 17-09-2019 -9- quelle ritenute più
idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto
riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento
della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre,
non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del
proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo
elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo
ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che,
sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili
con la decisione adottata" (Cass. Sez. 3, Sentenza n.12362 del
24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n.11511 del
23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n.13485 del 13/06/2014,
Rv.631330).
Va altresì evidenziato che
la sentenza impugnata è ampiamente ed adeguatamente motivata, poiché
la Corte di Appello ha ritenuto che la prova del vizio della volontà
dedotto dall'odierna ricorrente non fosse stata dalla stessa fornita;
ha valorizzato la circostanza che il Tribunale di Palermo avesse,
con sentenza resa nel 2012, revocato l'interdizione del defunto
disponendone l'inabilitazione, avendolo ritenuto capace di
autodeterminarsi; ed infine ha dato atto che la C.T.U. esperita in
seconde cure aveva confermato la capacità del testatore al momento
della redazione della scheda contestata. La prima delle predette
affermazioni, relativa alla mancata dimostrazione del vizio della
volontà, non risulta peraltro neppure specificamente attinta dai
motivi in esame, che di conseguenza non appaiono sufficientemente
specifici, posto che in essi la ricorrente non deduce di aver fornito
la prova ritenuta mancante dalla Corte di merito, né indica in quale
atto e momento del processo di merito ciò sarebbe avvenuto.
Con il quarto motivo la
ricorrente si duole infine del governo delle spese operato dal
giudice di merito. La censura, che neppure è idonea ad integrare un
motivo autonomo, stante la natura accessoria della condanna alle
spese, rispetto alla statuizione sul merito dell'impugnazione e
dunque sul merito della domanda, rimane comunque assorbita dal
rigetto del primo motivo e dalla dichiarazione di inammissibilità
del secondo e terzo motivo. In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, determinate come da
dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso per
cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è
rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi dell'art.13, comma
1 -quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n.115 del 2002, inserito
dall'arti, comma 17, della Legge n.228 del 2012, dei presupposti per
l'obbligo di versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la
stessa impugnazione.
PQM
la Corte rigetta
il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio di cassazione, che liquida in C 5.200 di cui C 200
per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del
15%, iva e cassa avvocati come per legge. Ai sensi dell'art.13, comma
1 -quater, del D.P.R. n.115/2002, inserito dall'art.1, comma 17,
della Legge n.228/12, dà atto della sussistenza dei presupposti per
il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1 -bis dello stesso art.13.